“Franziska” di Fabrizio De André: il sequestro

I carcerieri di De André e Dori Ghezzi avevano i loro eroi; e i loro eroi erano Graziano Mesina e altri marinai di foresta che si davano alla macchia nel Supramonte dopo aver compiuto i loro misfatti.

“I miei guardiani” racconterà Fabrizio dopo la sua liberazione”, “mi parlavano dei vari Mesina come degli eroi”.

Con la sua sensibilità di artista Fabrizio coglie in questi racconti dei suoi carcerieri degli aspetti che sicuramente non hanno mai neppure sfiorato le loro menti, del tutto prive della poesia autentica che animava il cantautore sardo-genovese.

Così Fabrizio si immagina e dà corpo e parole ai sentimenti, non del bandito, ma della sua donna; una donna immaginaria, ma forse pure reale, che vive nel terrore, tra difficoltà sentimentali e umane impossibili, ai balli nessuno la può stringere, per strada nessuno può avvicinarla e parlarle.

De André però, con la sua fantasia, coglie in realtà una  doppia solitudine: quella di Franziska “stanca di ballare / con un uomo che non ride e non la può baciare” e quella del bandito di turno, che  se ne sta nascosto in qualche caverna “senza luna, senza stelle e senza fortuna” a pensare alla sua innamorata lontana: “Questa notte dormirai col suo rosario stretto intorno al tuo fucile” mentre per la povera fanciulla c’è solo la speranza di imbattersi in qualche ignaro sventurato: “L’altro giorno un altro uomo le ha sorriso per la strada / era certo un forestiero che non sapeva quel che costava”. Chissà perché l’episodio legato a questa canzone a me ha fatto venire in mente Giangiacomo Feltrinelli, l’editore che nel 1968 voleva costituire un esercito per trasformare la Sardegna in una “Cuba del Mediterraneo”.

Anche lui, l’editore rivoluzionario, morto ai piedi di un traliccio, mentre piazzava una bomba, pensava che i banditi sardi fossero degli eroi. Quando, alla fine degli anni settanta, vennero sequestrati in Sardegna Fabrizio De André e Dori Ghezzi, ci furono diverse polemiche. Oltre alle consuete polemiche, coi soliti tromboni dello Stato che s’indignano di fronte alla delinquenza ma sono incapaci e forse anche paurosi, ci fu anche chi disse che non esistevano più i banditi gentiluomini di una volta.

La banda era composta da sei orunesi e da tre pattadesi (tra parentesi uno dei tre è morto da poco in un incidente stradale a Buddusò: si chiamava Salvatore Vargiu, Baròre o Vara per gli amici).

Parlando di Orune mi viene in mente subito il grande studioso orunese Antonio Pigliaru e il suo saggio sulla Vendetta Barbaricina, ma soltanto per dire che De Andrè perdonò i suoi sequestratori, giustificando il banditismo , in una qualche misura, al pari  di  Pigliaru, come un  fatto di natura sociologica.

Francesco Masala, in una sua famosa poesia, “Epitaffio per un abigeatario” chiama il sequestro di persona “sa bardana e’ Cainu”, il sequestro caìnita; un’offesa recata al fratello, un delitto contro natura, ineludibile come una maledizione. È la voce dei poeti, quella che rimane impressa; Giovanni Maria Asara di Pattada, il famoso Limbudu, chiama i famigerati ladri di bestiame, gli intrepidi grassatori pattadesi, “istirpe maleìtta”, stirpe maledetta, che “fina sa idda isfamana”, cioè diffamano la gente laboriosa di Pattada. Insomma, i poeti sardi, sono forse meno romantici e pietosi dei poeti genovesi; almeno da questo punto di vista.

E’in tutte le librerie il romanzo di Ignazio Salvatore Basile dedicato al sequesto di Fabrizio De Andrè. Ancora per oggi sul sito Dei Merangoli, potrete acquistarlo scontato

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