E’ un tripudio sonoro quello che investe l’ascoltatore sin dalle prime note dell’Oratorio di Pasqua di Johann Sebastian Bach (1685-1750). Rulli di timpani, ritmi incalzanti, fanfare di trombe ; un invito a partecipare senza esitazione al mistero della Resurrezione di Cristo, con la coscienza che la forza salvifica dell’azione di Cristo è sorgente di vita eterna per ognuno di noi. Si svelano così i motivi che hanno spinto Bach a ricorrere ad una composizione come quella dell’Oratorio che, sin dal principio del Seicento, rappresentava l’equivalente sacro del melodramma profano: quasi volesse dar vita a un racconto emozionante e avvincente, nel conferire veste musicale all’evento che ha cambiato per sempre il corso dell’intera storia dell’umanità.
Tra gli oltre duecento lavori liturgici composti , solo tre riportano il titolo di oratorio: insieme con la celebre opera scritta per il tempo di Natale, sono a noi giunti l’Oratorio dell’Ascensione BWV 11 e l’Oratorio di Pasqua BWV 249, del quale si conoscono almeno tre diversi adattamenti. Alla guida dell’ensemble vocale e strumentale Bach Collegium Japan, Masaaki Suzuki ha inciso l’ultima, sfolgorante versione, quella del 1749, nuova e pregevole tappa dell’ormai decennale percorso discografico che il direttore nipponico sta dedicando al repertorio sacro del Maestro di Eisenach (Sacd “hybrid” pubblicato da Bis e distribuito da Jupiter); attraverso una lettura di estremo rigore filologico, attenta a cogliere tanto il carattere più evidente di festosa celebrazione, quanto i momenti di intima e pacata riflessione (le splendide arie di Maria Maddalena e di Maria madre di Giacomo), ma sempre tesa a sottolineare l’alta valenza spirituale e confessionale di cui il compositore tedesco ha investito la sua missione artistica. Perché, come sosteneva lo scrittore franco-rumeno Emil Cioran nel suo Lacrime e santi, «quando si ascolta Bach, si vede nascere Dio’ Dopo un Oratorio, una Cantata o una Passione Dio deve esistere. Altrimenti tutta l’opera del Kantor non sarebbe che un’illusione lacerante. Pensare che tanti teologi e filosofi hanno sprecato notti e giorni a cercare prove dell’esistenza di Dio, dimenticando la sola!»