di Giampaolo Pretto
Cari amici, musicisti italiani di qualsiasi età e formazione: qualcosa si è inceppato nel nostro sistema-Paese, e da molto ormai. E il trend è in ulteriore, esponenziale, peggioramento. Parlo dell’ostinata mancanza di volontà di riconoscere e valorizzare il talento da parte di chi bandisce i concorsi nel nostro Paese. Ma perché non riusciamo più a donare al talento stesso, nelle sue diverse forme, la possibilità di crescere, immergendosi nell’unico humus che può dargli questa possibilità: ovvero l’essere messo alla prova in modo empatico e naturale? Perché i nostri concorsi assomigliano sempre di più a dei cimiteri chiusi in una sorta di incattivita sterilità preconcetta, senza se e senza ma?
La mia riflessione va ad inquadrarsi nel contesto degli ennesimi concorsi senza idonei nei nostri Teatri. Ormai è quasi la prassi. Nulla basta più. Si cerca sempre qualcos’altro; qualcosa di più, e meglio; o forse qualcosa di meno; o forse “qualcun altro” (chi?)… Ma cosa, esattamente, stiamo cercando? Ecco, lo ammetto: pensavo di saperlo, fino a non molto tempo fa; ma ora non lo so più. Ammetto la mia colpa. E questo per me è fonte di una grande frustrazione, a causa della responsabilità che copro come musicista, come didatta, come docente, come direttore, come semplice tessera tra le miriadi di tessere che compongono il puzzle musicale italiano. Ma come posso io cercare di motivare i giovani, anche i migliori di loro, che ho il piacere di conoscere e spesso l’onore di formare, dovendo dall’altra parte prendere atto che non so più capire quali sono i parametri qualitativi di riferimento?
Da più di vent’anni combatto, assieme a tanti altri, in prima linea nella formazione orchestrale giovanile.
Ho commesso sicuramente molti errori di valutazione io stesso per primo, chissà quante volte: per eccesso o per difetto…
Ma la realtà evidente a tutti, ormai, è che per una giovane “eccellenza” strumentale italiana, è notevolmente più facile ottenere un posto, anche di grande importanza, in orchestre al di fuori dell’Italia piuttosto che nel proprio Paese! I giovani di cui non sappiamo riconoscere oggi il talento presto saranno felici cittadini di altre nazioni, meno insicure dei popri bisogni e più accoglienti di quanto sappiamo essere noi. Negli ultimi tre anni è successo decine di volte, e succederà sempre più spesso…
Proprio oggi ricevo la notizia festosa che un giovane ex studente dell’OGI, italiano, (l’ennesimo!), ha vinto il posto di primo trombone co-principal alla Finnish Opera. Evviva! Guardo poi sconsolato i volti di molti dei migliori ragazzi e ragazze usciti negli ultimi anni dall’Orchestra Giovanile Italiana, che ho l’onore di servire dal 2000, e devo prendere atto che la stragrande maggioranza di loro ha trovato prestigiosi posti di lavoro, sì: ma invariabilmente all’estero. Da Tokio a Copenhagen, da Montecarlo a Ginevra, insomma ovunque. Ma, quel che è peggio, spesso dopo aver sostenuto infruttuosamente audizioni e Concorsi nei nostri Teatri! I quali ormai si stanno rinchiudendo sempre di più in una strana forma di mutismo selettivo: “per noi non è abbastanza”. Punto e basta.
Cosa deve saper fare un giovane con in mano uno strumento, oltre che suonare tutto, perfettamente, con musicalità, con proprietà, con qualità? Deve certamente convincere che il credito che gli si dona non è un regalo ma una messa alla prova. La “prova” appunto, istituto necessario e spesso negletto di controllo.
Cari amici e colleghi coetanei, come me carichi di esperienza e, purtroppo, di anni: ma mi volete dire chi di noi, quando è stato scelto per fare il suo mestiere di “orchestrale” (parola bellissima non più considerata politicamente corretta) sapeva suonare bene come ha imparato a fare poi, con gli anni? Sono entrato 21enne in orchestra, sbagliando perfino il solfeggio in un punto dell’assolo della quarta di Brahms. Correva l’anno 1986, e qualcuno ha deciso che su questo ragazzo zazzeruto valeva la pena di scommettere qualcosa. Tanto, semmai, c’era la prova. Trentuno anni dopo non sta certo a me dire se questa scelta da parte della commissione si sia rivelata giusta o azzardata: ma mi è stata data una possibilità. Ciò che ora non si fa più.
Allora io sinceramente devo dire il mio timore: mi pare che serpeggi impunita, passatemi il termine forse un po’ duro, un’oncia di slealtà generazionale. Chi di noi, cari amici dai capelli grigi, sarebbe entrato a suonare in orchestra se avessero adottato i criteri esclusivi che vengono adottati ora? Ebbene: io no di certo, ma parlo naturalmente a titolo personale, magari per voi è stato diverso…
Il punto è che si è perso il senso di cosa voglia dire fare un concorso per orchestra: ben diversamente da un concorso a premi, basato per forza di cose prima sull’eliminazione e poi sulla valutazione, un concorso per orchestra dev’essere a mio avviso basato sullo “scouting”.
Sappi riconoscere un vero talento, al netto di qualche problema transitorio, dagli una chance mettendolo alla prova e chiedendogli anche, in corso d’esame e dopo, le cose più difficili. Poi, nel dubbio, fai esattamente il contrario di ciò che stanno facendo ora tutti i Teatri: INCLUDI, non escludere! Testa chi ritieni idoneo, facendo diventare il suo periodo di prova un vero momento di controllo. Se hai saputo intuire il vero talento, in novanta casi su cento avrai trovato chi cerchi.
Faccio orgogliosamente parte dell’Orchestra Sinfonica Nazionale. In ventitrè anni di concorsi, sono stati rarissimi i casi in cui l’OSN non abbia trovato uno o addirittura (spesso) più idonei, a volte addirittura molti, per il proprio bando di concorso. Si vede che siamo una compagine che si accontenta di poco.
Giampaolo Pretto