Il silenzio tombale di uno scandalo al sole
[Mario Salis]
Se oramai è certo, che nell’area di Tuvixeddu non sarà possibile edificare un solo mattone, per il colle sacro non c’è ancora pace. Le pietre viventi della città morta parlano ancora, attraverso l’immortalità delle immagini in un luogo laddove il silenzio, più che raccoglimento suscita addirittura imbarazzo.
Gli spot immobiliari pur nel cuore di Cagliari l’allontanano dagli angusti luoghi comuni. Ma si sa la pubblicità è l’anima del commercio, più spesso ed a volte, l’esatto suo contrario.
Nei giorni scorsi, durante il noto programma di Licia Colò “alle falde del Kilimangiaro” è andata in onda una breve inchiesta sulla necropoli fenicio punica di Cagliari. Un format rinnovato nella sua nuova edizione. Quest’anno con la sola denominazione “Kilmangiaro”, oltre a proporre viaggi nei luoghi esotici e più esclusivi del Globo, racconta il Bel Paese dei borghi più nascosti e suggestivi, non dimenticando le bellezze dimenticate, quelle violate ed abbandonate.
La giornalista Stefania Battistini documenta settimanalmente lo stato del nostro patrimonio storico ed ambientale. Così è stata la volta di Tuvixeddu, dopo la Certosa di Pavia, una Cattedrale nel deserto, laddove lo Stato non ha ancora attivato una biglietteria a fronte di settecentomila presenze all’anno, rinunciando ad investirne i non trascurabili proventi in opere indispensabili di tutela e manutenzione. Le sequenze preannunciate dalla telecamera nascosta su un percorso non autorizzato sono da presa diretta, seguono la morfologia del terreno quasi a catturarne le tracce che si perdono tra la rigogliosa vegetazione spontanea, al ritmo dei passi che affondano sullo sterrato misto ai detriti. Si svelano le tombe ad arcosoli, trasformate in fornelli da cucina all’interno di una delle ville patrizieche cingono la necropoli. Tombe romane ospitano inequivocabili giacigli di fortuna, che confermano la presenza di varchi sulla rete di recinzione.
- via Is Maglias 28 marzo 1956
Ciò che dovrebbe essere il parco archeologico, mostra interrotti moduli di passerelle lignee con le protezioni metalliche già aggredite dal tempo; l’area servizi ha bisogno di nuovi interventi. Primo piano inesorabile sul cartello del cantiere che attesta: inizio lavori 2003 per un importo di cinque milioni di euro. Ma il sottosuolo dei palazzi confinanti ha qualcosa da aggiungere e dell’incredibile da vedere: un ampio garage con dei resti archeologici che hanno conficcati su quel che resta di antiche vestigia quattordici pilastri di cemento armato. Forse la testimonianza della sinergia tra la proprietà privata ed il pubblico patrimonio culturale, che peraltro sembrerebbe non restare un fatto isolato. Li vedete i turisti che entrano in un condominio per fruire della vista dei beni culturali. In tal caso l’amministratore dovrebbe provvedere ad una portineria con biglietteria, chissà che tranquilla riunione di condominio!
Un ambiente surreale, come testimonia lo stesso Sindaco Zedda, ricordando che in due giorni di apertura si sono registrate venticinquemila visite. La giornalista che intervista rappresentanti della Soprintendenza incalza sulle pietre impastate con la città, mentre di rimando si ricordano le esigenze della città, che sembrerebbero suonare come una sorta di impotenza mista a rassegnazione. Se non come i sepolcri di Manila, la Necropoli ha i suoi abitanti, casupole occupate da cui spuntano condizionatori, incuranti di qualsiasi impatto ambientale, come l’inevaso fabbisogno di case in città, sembra giustificare.
Nulla di più di quanto già visto e documentato in altri filmati, come quelli più dettagliati e di ottima fattura dello speleologo giornalista Marcello Polastri di Sardegna Sotterranea. Del resto è risaputo, chi arriva per ultimo edifica sopra gli altri: nuove dimore sopra altre case, chiese sopra altri templi. Come in altri tempi e luoghi diversi, già ad Oristano de Tharros portant sa perda a carros. Cagliari ha cercato sempre il materiale per la sua costruzione e ricostruzione nel ventre del suo grembo, nelle profondità dei suoi colli, dragando sabbia per l’edilizia difronte al Golfo. Gli oltre 500 commenti della pagina facebook di Kilimangiaro, in gran parte dalla Penisola, registrano due sole parole ricorrenti: scandaloso, vergognoso.
La vicenda di Tuvixeddu ha sempre suscitato qualche esitazione ed incertezza a cominciare dalla sua denominazione e pronuncia, nonostante che si scrive e pronuncia scivolando come il toponimo quasi attiguo di Stampaxi. Ma se è diventato quello che non doveva mai essere: cava, discarica, una dimora duratura per i senza tetto, un rifugio durante il secondo conflitto mondiale, ma anche adibito a pollai o fioriere, non come quelle di cui si è occupata la Magistratura, ed ancora spartano parco giochi di campetti di calcio improvvisati, luogo di incontri proibiti, miniera di reperti per i tombaroli che lasciavano gli arnesi di effrazione sul posto per proseguire negli scavi il giorno dopo, ultima destinazione di ciò che rimaneva inutile del furto di una quattro o due ruote .
Oggi Tuvixeddu è soprattutto una complessa, delicata, inestricabile vicenda giuridico amministrativa, tanto da poter assegnare delle tesi sperimentali ad un intero corso accademico di giurisprudenza. Cercare di riassumere fedelmente e sinteticamente la sua intera cronologia, è un’impresa ardua e scomoda per queste poche righe, per cui è meglio rimandare la consultazione a due siti della rete che in modo esaustivo e competente hanno trattato la materia: Urbancenter e Gruppo di Intervento Giuridico. A titolo di cronaca si può ricordare che dall’8 marzo trascorsi 120 giorni dalla notifica, il gruppo Cualbu – soccombente sul piano amministrativo – può mettere all’incasso il pronunciamento della Corte d’Appello Civile di Roma che ha confermato l’esecutività del Lodo Arbitrale per una cifra superiore ai 76 milioni di euro. Roba da far tremare i polsi e prosciugare le casse della Regione.
Ma quali sono i punti critici della querelle partita nel 2000 con l’Accordo di Programma tra Regione, Comune di Cagliari e privati. L’equivoco generale nasce dal programma di riqualificazione del cosiddetto sistema dei colli di Sant’Avendrace, giusto per non correre il rischio di nominare Tuvixeddu. Il suo principio ispiratore e conduttore si traduce in un moltiplicatore esplicito ed apparentemente innocuo: riqualificare per edificare, insieme ad una sostanziosa seconda operazione: edificare per valorizzare, un prodotto finale abbastanza trasversale in città, sia tra le diverse amministrazioni locali che nel settore imprenditoriale privato ed organizzazioni di categoria. A nulla vale oggi recriminare, che circa 30 anni fa quell’area poteva essere acquisita dall’autorità pubblica con pochi miliardi di lire, senza contrattare e correre il rischio di pagare esorbitanti indennizzi. Esattamente il conto salato di una carenza di lungimiranza, di chi una città non solo deve amministrarla, ma anche immaginarla col dovuto anticipo. Qualche via d’uscita può essere rappresentata dalle zone sterili archeologicamente, ma ritrovamenti anche in quelle aeree non semplificano con certezza il problema, non a caso sono state previste le fasce di tutela al perimetro esterno della necropoli. Evocare l’intervento del privato nel mondo della cultura sembra la testimonianza di un’alternativa alla carenza endemica di risorse finanziarie, ma sono proprio queste a non mancare sia sul versante europeo che nazionale, se tempestivamente perseguite. Eppoi ce li vedreste voi, amministratori locali in grado di disporre di adeguati finanziamenti, e condividere con altri soggetti il proscenio dell’innegabile visibilità che solo certe opere possono attribuire. Difronte alla carenza ed all’invadenza degli enti locali, che avrebbero potuto compromettere definitivamente Tuvixeddu, tanto da far assurgere a migliore tutela l’assenza stessa dell’intervento amministrativo, un determinante baluardo è costituito dal ruolo svolto dall’associazionismo. Oltre alle due precedenti associazioni: WVF, Ipogeo, Italia Nostra, Lega Ambiente, Amici di Sardegna, Amici della Terra, comitati vari e tanti altri, che si sono perfino costituiti in giudizio per difendere l’integrità della necropoli. Taluni lo definiscono l’annoso estremismo ambientale che rischia di vanificare l’esortazione “lasciateci lavorare”. Per contro tale aspetto testimonia l’inagibilità ricorrente del dialogo tra gli amministratori e l’associazionismo, diretto rappresentante dei cittadini che firmano le petizioni, testimoniando la voglia di partecipazione e la passione per la propria città.
Proprio in questi giorni in città si sta sviluppando un altro problema: la costruzione di un parcheggio all’interno dei contrafforti del Bastione di Santa Croce in via del Cammino Nuovo con annesso parco, 14 milioni di euro l’investimento – 20 centimetri di terra sopra il cemento con diradate grate di areazione che scongiurano la piantumazione di qualsiasi albero, tutt’al più si può immaginare un anonimo giardino. Italia Nostra parla già di mistificazione, a riprova di incontri di interlocuzione richiesti col Comune, che vengono fissati dopo l’assunzione di atti deliberativi. Insomma si delinea un’ulteriore vicenda vertenziale. La lezione di Tuvixeddu sembra non essere ancora servita.
E poiché Sardegna Promozione non ha avuto ancora il tempo di occuparsene, ci ha pensato il più diffuso quotidiano francese, il parigino Le Figaro, denunciando la settimana scorsa in prima pagina, lo stato di abbandono in cui versa Pompei, laddove lo Stato assiste impotente al crollo dei tesori di una civiltà, con le pesantezze della burocrazia che schiacciano e bloccano l’attuazione di lavori urgenti. Oltre alla lenta agonia di Pompei la denuncia si allarga ad altri siti che versano in situazioni quasi analoghe: la Biblioteca di Brera a Milano, Villa Adriana a Tivoli, la preziosa Biblioteca Girolamini a Napoli dove resta ben poco dopo la spoliazione self service, la Domus Aurea a Roma, Volterra, i palazzi reali di Caserta e Carditello, la cittadella di Alessandria, i templi di Agrigento, il sito di Sibari in Calabria e Tuvixeddu in Sardegna. Insomma, siamo in buona compagnia e comunque, gli unici tesori non sono i Bronzi di Riace, anche se a volte ritornano.
A Cagliari una città che nutre la giusta ambizione a candidarsi capitale della cultura, si dovrebbe avviare una riflessione su ciò che di bello si è fatto finora, senza banalizzare o sottovalutare il termine ed il suo fine. Una volta si gridava l’immaginazione al potere, ma immaginazione e politica rivestono un significato duplice, contradditorio, la politica deve avere i piedi ben piantati sul realismo, ma priva d’immaginazione perde la forza di guardare al futuro. Partendo dalla trasformazione del presente si può pervenire ad importanti risultati di qualità per la vita di una città. Il parco di Monte Claro; il risanamento del Colle di San Michele che fu per metà divorato dal lavoro di cava; Monte Urpinu anche se la cava fa parte ancora del panorama; l’asse mediano come le rotonde che hanno preso a girare, sono importanti ed utili opere viarie ma per loro natura non tendono al bello; la sistemazione di alcune piazze, rientra nell’attività di normale manutenzione ed ordinario assetto urbano. Sono tutte insieme opere pregevoli, ma belle? Ce ne passa! I parcheggi di viale Regina Elena o lo sventato multipiano di via Manzoni sono una soluzione oltre che discussa incompleta, il primo che ritorna di attualità insieme ad un altro versante della città, il secondo la felice conclusione della mobilitazione dei residenti per addivenire ad una soluzione conciliabile con le esigenze della città, oltre che una faticosa opera di persuasione e mediazione nei confronti sia dell’allora maggioranza che dell’opposizione. Sabato scorso durante la manifestazione di via San Giorgio si precisava, non senza sgomento, “non ce l’abbiamo con tutti ma sicuramente con quelli che abbiamo concorso ad eleggere”.
Continuando nell’elenco delle opere, non sono mancati gli interventi disastrosi, come il ripascimento del Poetto che smorzati i furori lasciano l’angoscia di una ferita insanabile, o la legnaia dell’Anfiteatro Romano, ma di bello? Si può ancora parlare di bellezza in una città, certo non come ad Oristano dove lo slogan “città di bellezza” adottato da una coalizione candidata al governo del capoluogo, è diventato l’indulgente epitaffio della sua condotta amministrativa. La bellezza nell’assetto urbano vive la propria emarginazione come qualcosa di antiquato od una sorta di attentato alla modernità, sottovalutando invece i molteplici aspetti sociologici che può generare sulla qualità della vita. In molte città d’Italia per troppo tempo si è assistito ad un uso indiscriminato del territorio dove i centri storici si svuotano, la periferia che divora la campagna con gravi problemi dei collegamenti, oltre che incentivare la speculazione edilizia. Una cultura consolidata guarda alla trasformazione dell’ambiente come al paradigma del progresso. Lo sventramento della Roma Medioevale per far posto a via dei Fori Imperiali col primo colpo di piccone del Duce – ansioso di emulare la Berlino squadrata dell’architetto del Reich Albert Speer – immortalato dal Cinegiornale Luce, su un tetto di Roma, dritto come il gladio di un legionario. I grands boulevards di Parigi nati per far transitare agevolmente le truppe Napoleoniche, abbattendo la corte dei miracoli con la parola d’ordine far circolare gli uomini e l’aria. Il nuovo volto della città capitolina ha cancellato quel botto di bellezza, raccontato mirabilmente da Alberto Sordi quando bambino, condotto per mano dal padre tra i vicoli medioevali, per vedere esplodere, appena dietro un vicolo la grandiosità di San Pietro.
Se per Francesco Alziator Cagliari è un grande sepolcro: “distesa, ammonticchiata, sparpagliata, rappresa, densa e rada, Cagliari, pallida e accesa”. Anche ad Elio Vittorini nel 1932 assecondando la sua fantasia, gli apparve come una Gerusalemme liberata, metà roccia e metà case di roccia, fredda e gialla d’un giallore calcareo africano.
I vivi privilegiati di quelle ville, dai loro giardini hanno potuto assistere al gioco di luci, di lampi e di riflessi che si accendevano per spegnersi e riverberarsi sulla immensa fissità della laguna. Quella impareggiabile vista oggi sembra imprigionata irrimediabilmente nella prospettiva frazionata delle Zunk Towers. Tuvixeddu è un’area sensibile come può essere solo un vasto patrimonio identitario ed il luogo della sua memoria. L’estetica è la manifestazione fisica dell‘etica come l’urbanistica l’ordine, l’immagine indelebile di una città. “Laggiù tutto è ordine e bellezza, lusso, calma e voluttà” scriveva Baudelaire, perché le nostre città d’arte pur nel degrado o deturpate dall’assalto delle brutture, conservano il fascino e la voluttà della bellezza.
La bellezza, la grande bellezza filmata di Roma sta anche sotto la cenere di Ercolano e di Pompei come nelle viscere e nell’animo di Tuvixeddu. Perché una città bella è una città più giusta!
[Mario Salis] CagliariGlobalist