1949: il primo Consiglio Regionale

Correva l’anno 1949: elezioni del primo Consiglio Regionale della Sardegna

E’ pomeriggio inoltrato, quando in un’aula semi-deserta cala il sipario sulla XIV legislatura del Consiglio Regionale della Sardegna. Timidi applausi a scena oramai conclusa, salutano l’approvazione della Legge Finanziaria, che per la maggioranza ha scongiurato il ricorso all’esercizio provvisorio, costituendo uno strumento valido per affrontare le emergenze, mentre i suoi detrattori dall’opposizione, la bollano un bilancio inutile di una legislazione deludente.

I consiglieri ricandidati guadagnano velocemente l’uscita per raggiungere i colleghi assenti, già alle prese con la campagna elettorale. Con lo sguardo smarrito più che pensoso, rimangono nei loro banchi quelli che per ora andranno ad infoltire l‘Associazione degli ex Consiglieri, sperando in una prossima stagione elettorale. Una Consiliatura da dimenticare con tre onorevoli che varcano i cancelli di un penitenziario, e non per denunciare l’annosa questione carceraria. Nulla da festeggiare, poco da ricordare molto da dimenticare. Si saluta l’abbandono, per il volontario raggiungimento dei limiti d’età, dell’onorevole Felicetto Contu classe 1927, nei ruoli della Regione dal 1961, tanto da fargli guadagnare affettuosamente il vezzeggiativo di Fenicetto. Comunque per non rischiare l’inattività rivestirà l’incarico di difensore civico. Un politico navigato di altri tempi.

Si profila la campagna elettorale più breve e difficile della storia della Regione. I preliminari della ricerca dei candidati tra riconferme, abbandoni e passi indietro, assottigliano lo spazio di confronto tra gli opposti schieramenti e lo stesso dialogo con la base elettorale.

Di mattina a Cagliari in piazza Yenne, ai piedi della colonna miliaria che segna il principio della Statale 131 e della sua storia infinita, sfilano suv e city car incalzati dai disimpegni brucianti degli scooter, mentre dai mezzi pubblici come riflessi ondeggiano gli sguardi anonimi dei passeggeri, in procinto di scendere alle fermate del centro. La stessa prospettiva, ma con uno scenario diverso, quello dei giorni che precedevano l’8 maggio 1949, quando si votava per il primo Consiglio Regionale della Sardegna.

Sull’onda delle memorie tramandate e trascritte e delle immagini del cinegiornale INCOM n. 289 (Industria Cortometraggi Milano) antenato del settimanale Ciac e precorritore di quello televisivo Ciac-Gulp): la statua di Carlo Felice, scolpita nel 1829 ma issata molto più tardi nel 1860 sul basamento di marmo e granito disegnato dall’architetto Gaetano Cima. Quel piedistallo, appare completamente avvolto senza soluzione di continuità, da un autentico nastro di manifesti elettorali fino ai cippi che uniscono le catene. Inconfondibile la partitura geometrica dei quattro mori, mentre un audace attivista della risorta destra, ha scalato la statua sabauda fino all’estremità del suo bronzeo braccio destro, per collocarvi un simbolo fiammeggiante. L’ingresso della via Manno era listato da uno striscione – vota stella e corona – con la stella coronata del Partito Nazionale Monarchico, che al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 aveva riportato il 60,9% del consenso degli elettori sardi.

Dalla via Roma sgombra di qualsiasi traffico di auto, percorsa da carretti a trazione animale o trascinati da infaticabili garzoni, a cominciare dal bar degli americani che già erano andati via, lasciando le proprie affollate sale da ballo ed i loro fornitissimi empori – quasi difronte alla darsena, come descrive quei luoghi Ugo Pirro sceneggiatore di De Sica, Lizzani, Damiani, Pontecorvo nel suo Mille tradimenti del 1959, salivano gli strilloni con i giornali arrotolati su una cinta di cuoio, scomparendo sotto i portici fino al budello de Sa Costa, gridando “Ugnone” Sarda, il Tempo, edizione straordinaria, Paese Sera, anche se sulle loro magliette campeggiava la testata del Messaggero o del Mattino. L’Avanti, l’Unità, La Voce Repubblicana che provenivano soprattutto dalla distribuzione militante ed attraverso gli abbonamenti, spuntavano dalle tasche delle giacche e dei capotti rivoltati.

L’area oggi del Palazzo della Regione, era ancora un ammasso di macerie non del tutto bonificate, sbarrata da un muro di cinta che non riusciva a nascondere quella desolazione. Così in una Sardegna non più sottoposta all’Allied Military Governement, il 27 gennaio 1944 fu istituito l’Alto Commissariato per la Sardegna, che precederà di qualche mese l’altro analogo per la Sicilia, rimanendo in carica fino all’elezioni regionali dell’8 maggio 1949. A dirigere quest’organismo militare burocratico fu il generale sardo di squadra aerea Pietro Pinna Parpaglia di Pozzomaggiore, che dimostrò innate doti di mediazione quando gli fu affiancato prima una Giunta e poi una Consulta Regionale di 18 componenti, nominati dal Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, scelti tra rappresentanti del mondo politico, sindacale e culturale: tra gli altri i democristiani Angelo Amicarelli, Salvatore Mannironi; i comunisti Antonio Dore e Renzo Laconi; i socialisti Angelo Corsi, Filippo Satta; i sardisti Pietro Mastino, Piero Sotgiu, i liberali Francesco Cocco Ortu, Raffaele Sanna Randaccio, il demolaburista Giovanni Maria Dettori, l’indipendente Enrico Musio ed il repubblicano Agostino Senes. Oltre competenze contingenti doveva avanzare le proposte per l’elaborazione dello Statuto della Regione Autonoma della Sardegna. Era il 29 aprile 1945 al palazzo viceregio di Cagliari. Ma le elezioni del 1948 modificheranno ancora i rapporti di forza tra le varie componenti, che videro la luce della terza consulta fino al 4 maggio del 1949 nel vivo della campagna elettorale.

Ma la piazza intitolata al viceré marchese Ettore Veuillet d’Yenne ne aveva viste. Il 18 gennaio del 1945 gli studenti protestarono contro il richiamo alle armi, durante gli scontri con le forze dell’ordine ci fu il lancio di una bomba a mano che lasciò esanime un giovane agente, per cui la città rimase presidiata dall’Esercito. Del resto poco ci mancò, dopo la marcia su Roma, che il deputato Emilio Lussu subisse la stessa sorte mentre fascisti e sardisti si fronteggiavano, il calcio di un fucile raggiunse il parlamentare che lo fece finire in gravi condizioni al vicino ospedale, mentre in città si accendevano diversi focolai di disordini.

Il paesaggio umano della piazza era a geometria variabile, facoltosi nullafacenti che borbottavano come tromboni asmatici, smarriti disoccupati, fieri reduci claudicanti, piccaparderisi con addosso ancora la polvere dei fiorenti cantieri edili della ricostruzione, borghesia impiegatizia che conviveva con le maestranze della fonderia Chicca Salvolini non lontano dai robusti portuali. Qualche bandiera, pochi i cartelli, quelle facce ancora smunte da un prolungato razionamento, dicevano tutto. Correva l’anno 1949.

Fine prima parte    Mario Salis

cagliari.globalist.it
392 5538496

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *