Da un punto di vista storico-filologico la stessa collocazione protostorica del dramma musicale porriniano non deve trarre in inganno poiché, ad una lettura più attenta, ci rendiamo conto che Porrino non si accontenta di ambientare il suo dramma nella Sardegna nuragica ma va ben oltre.
Se ci avventuriamo per un attimo nell’antroponimia, che è la disciplina che ha per oggetto lo studio dei nomi di persona, ci accorgiamo di quanto il nostro compositore sia ben documentato, anche filologicamente: è noto infatti, che Gonn– e Or– (mi riferisco a Gonnario e Orzocco) sono prefissi del sostrato paleosardo-nuragico della lingua sarda; anche questo particolare non sfuggì sicuramente al compositore cagliaritano. Anche la scelta di nomi come Gonnario, Orzocco, Torbeno e Nibatta – protagonisti della sua opera lirica, essendo essi personaggi realmente vissuti in Sardegna durante il Medioevo, quando l’isola, suddivisa in Regno di Calari, Arborea, Torres e Gallura, era un vero e proprio Stato indipendente – non è assolutamente casuale. Sappiamo, infatti, essendo ancora ignoti i nomi dei sovrani sardi del X secolo, che un Gonnario-Comita de Lacon-Gunale è stato il primo Re (o Giudice) del Regno di Arborea e Torres agli inizi dell’XI secolo; e un altro Gonnario, ma questa volta della dinastia Lacon-Serra, lo ritroviamo ancora alla guida del Regno di Arborea verso i primi decenni del secolo successivo, e che sempre nello stesso periodo, un altro Gonnario de Lacon-Gunale sarà il sovrano del Regno di Torres. Nell’XI e XII secolo alcuni sovrani dei Regni di Arborea e Calari saranno Torbeno e/o Orzocco (della dinastia Lacon-Gunale).
Verso la fine dell’XI secolo il Regno di Arborea passerà nelle mani di Orzocco (della dinastia Lacon-Zori) che è sposato con Nibatta, il cui figlio, come nell’opera di Porrino, si chiama Torbeno. Inoltre in Mariano il pastore, che nel dramma porriniano è denominato Primo uomo della terra, un pastore sardo, riconosciamo mariane, margiani, che in sardo significa ‹volpe, persona astuta› e non va dimenticato, storicamente, che Mariano II e in modo particolare Mariano IV, padre di Eleonora d’Arborea, vissuti rispettivamente nel Duecento e nel Trecento, furono sicuramente tra i più grandi (e quindi anche tra i più astuti) sovrani sardi.
Ma passiamo a Norace che – anche se a un primo impatto il lettore potrebbe non recepire il messaggio porriniano – è, dal mio punto di vista, il vero protagonista-eroe dell’opera. È un Norace sardo, né mitologico né ibero né fenicio ma capace di gesta che esulano da luoghi comuni, non ultimo quello che il sardo possa difendersi meglio dall’interno (dai monti) e non dalla periferia (dal mare). Oggi, che nei cortili delle case dei pescatori sardi spesseggiano ancore nuragiche, e che nei musei archeologici non ci è permesso ammirarle, ci rendiamo conto di quanto profetico sia stato il suo messaggio, e non solo quello musicale …
Nella toponimia (la disciplina che studia i nomi di luogo) dei Shardana ricorrono con maggiore frequenza Nora e Montalba, e sappiamo bene che anche questi non sono inventati. In essi riconosciamo naturalmente Nora, la città che prima di essere romana era indubbiamente una città portuale nuragica e il cui prefisso ha origine da nur– anch’esso di derivazione paleosarda. Porrino, sia pure nell’entusiasmo della creazione artistica, sfata così il mito che Nora sia stata fondata dai Fenici nel IX-VIII secolo; Nora, ne I Shardana è sarda, sardissima già da mille anni prima. E anche nel toponimo Montalba, patria di Gonnario che nei Shardana è sita in territorio montuoso, è evidente la connessione con il massiccio calcareo del Montalbo, situato nella Sardegna centro-orientale, con l’unica differenza che è un Montalbo al femminile, matriarcale, come Nora e Sardegna.
Quanto a Hutalabì, il grido di guerra del popolo sardo che nel dramma porriniano ricorre innumerevoli volte, esso è naturalmente da associare ai versi di Sebastiano Satta nella poesia La madre dell’ucciso dedicata dal Satta allo scultore nuorese Francesco Ciusa, che con la sua scultura in gesso La madre dell’ucciso trionfò nel 1907 alla VII Biennale di Venezia e conseguì il Primo Premio Internazionale per la Scultura: Se l’aurora arderà su’ tuoi graniti / Tu lo dovrai, Sardegna, ai nuovi figli. / A questo: a quanti cuori / Vegliano nella tua ombra, aspettando! / O fratello, e tu primo alla vittoria, / Da’ il grido dai vermigli / Pianori: Agita il palio / O rosso cavallo, O cavallo di gloria, hutalabì! Hutalabì è l’«urlo di gioia selvaggia, col quale il cavaliere barbaricino sprona a corsa sfrenata il cavallo animando se stesso di questo frenetico ardore».
Giuanne Masala, in: Ennio Porrino, I
Shardana – Gli uomini dei nuraghi: dramma musicale in 3 atti, Stoccarda
2009 (www.sardinnia.it), volume contenente il libretto
d’opera in tre atti a firma dell’autore, nonché le critiche all’indomani della
rappresentazione al Teatro San Carlo di Napoli (1959) e al Teatro Massimo di
Cagliari (1960). Fotografie inedite di scena della «prima», i bozzetti di Màlgari
Onnis Porrino, una prefazione di G. Masala, un articolo di F. Karlinger sulla
sardità dell’arte porriniana, un’intervista al compositore, la
lettera-testamento di Porrino e altri materiali inediti rievocano una delle
giornate più memorabili della storia dell’opera lirica contemporanea.
Una cantante che ha interpretato una parte nell’esecuzione del 21 febbraio 2010 mi scrisse allora
con queste parole:
Buongiorno!
Mi dispiace, ovviamente, che l’opera non venga rappresentata, data la sua anima drammatico-teatrale che troverebbe naturale sfogo con costumi, scene e movimenti scenici. Oggi è arrivato lo spartito e nel pomeriggio ho affrontato la prima lettura del mio personaggio. La musica è veramente un capolavoro! Credo che un capolavoro come questo meriti di essere conosciuto e diffuso il più possibile! Ogni giorno scopro, da musicista, meraviglie nella scrittura musicale.
Il testo poetico, poi, è davvero al di la di un semplice libretto d’opera…