Sul pulmann, al rientro dal lavoro, dopo uno dei tanti concerti decentrati, mi veniva da fare delle considerazioni.
Siamo ancora nell’anno dei festeggiamenti dell’Unità d’Italia, e mai come quest’anno mi sono resa conto di come la nostra musica sia un grande mezzo d’unità, d’unità fra popoli, ma in questo caso fra regioni italiane.
La stanchezza ha preso il sopravvento facendomi chiudere gli occhi durante il tragitto. Ho ascoltato le inflessioni della lingua parlata dai diversi colleghi che facevano le considerazioni sul concerto appena svolto e non solo. Il coro, quello dove svolgo la mia professione è un coro formato da artisti di tante regioni italiane del nord, del centro e del sud. Era bello ascoltare questa miscellanea di lingue!
Sentivo la collega napoletana che descriveva alla collega veneta la ricetta della pastiera; quello romano che discuteva di tecnica del canto col collega nuorese; la collega pugliese sindacalista si confrontava con la collega sindacalista cagliaritana; il collega siciliano descriveva orgoglioso la sua collezione antica di santini al collega triestino.
Un’insieme di suoni così armonioso che mi ha rilassato e soddisfatto al pensiero che eravamo tanti così diversi nelle origini ma insieme e uniti in un’unica causa: la musica; quella musica, parte della nostra cultura italiana tanto bistrattata da molti politici del nostro governo che la vorrebbero far sparire ma, nonostante tutto, riesce ancora a stare a galla e ad emozionare.
La cultura rende un popolo facile da guidare, ma difficile da trascinare; facile da governare, ma impossibile a ridursi in schiavitù.
Henry Brougham